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L'estate di Giacomo - Recensione

20/07/2012 | Recensioni |
L'estate di Giacomo - Recensione

Un soffio delicato, un piccolo “racconto d’estate”, una fiaba moderna girata con stile minimalista, L’estate di Giacomo è il primo lungometraggio del friulano Alessandro Comodin, classe 1982.
Siamo in estate nella campagna vicina alle rive del Tagliamento. Giacomo (Giacomo Zulian) diciottenne rimasto sordo da piccolo e Stefania (Stefania Comodin) sua amica d’infanzia sedicenne, percorrono un sentiero stretto tra rovi e pantani fangosi. Come in una favola, si perdono nel bosco e si ritrovano in un luogo paradisiaco sulle rive del fiume. E lì avviene una vera esperienza dei sensi: fanno il bagno, scherzano, si provocano, fanno un picnic. Di sera vanno a una festa popolare, salgono su una giostra, ballano. Sono vicini, molto vicini. Come lo sono di nuovo al fiume mentre giocano a tirarsi il fango e ancora su una bicicletta che percorre i grandi spazi aperti al tramonto.
A metà strada tra documentario e film di finzione, L’estate di Giacomo ha il pregio dell’originalità,  collocandosi in un territorio finora mai occupato dal cinema italiano. Il debito a un certo cinema francese influenzato dalla nouvelle vague è chiaro (in particolare, ma solo a tratti, l’influsso dei racconti delle ‘quattro stagioni’ di Rohmer), ma non solo, forse ciò che salta di più agli occhi è la lezione dei documentaristi teorici di quel “cinema-verità” in cui si penetra nell’intimità della vita quotidiana e in cui la macchina da presa fissa la tempesta di percezioni vissuta dal protagonista.
Natura e sentimenti si fondono in un percorso che trova la sua ragione di fondo in luoghi, rumori, suoni, luci, colori. Un film di atmosfere che mette in scena l’educazione affettiva di un adolescente sordo, un ragazzo diviso fra l’amica che lo accompagna per quasi tutto il film, Stefania, e Barbara, non udente come lui e destinata a condividere con Giacomo un’esperienza profonda in una scena finale rivelatrice della paura come conseguenza inevitabile dell’abbandono amoroso.
L’estate di Giacomo è immerso per quasi tutta la sua durata in un’atmosfera simile a quella dei sogni, come un invito a immergersi di nuovo nel ricordo della nostra adolescenza con tutto il suo bagaglio di emozioni. Un “docu-sogno” lontano dal presente e immerso nella memoria di un passato dolce. Le lunghe inquadrature iniziali con cui il regista segue, quasi pedina, i personaggi di spalle, rendono sulle prime il racconto un po’estenuante. Il ritmo cadenzato prosegue nella lunga scena sulle rive del fiume in cui i due ragazzi si provocano come in una lotta danzata nelle acque del fiume. Giacomo biascica parole poco comprensibili mentre Stefania parla pochissimo. Nelle scene seguenti la macchina da presa continua a pedinare i due ragazzi mentre solo nel finale entra in scena Barbara, l’altra figura femminile del film.
Una serie di lunghi piani-sequenza fissano per immagini le azioni dei ragazzi che si muovono spontanei. La scena d’apertura è simbolica e di forte impatto: Giacomo, ripreso di spalle con un evidente apparecchio acustico nelle orecchie, suona la batteria, il suo battere forte sui piatti restituisce il suo mondo, quasi la sua anima che, al contrario, è prigioniera del silenzio. Un contrasto semplice ma forte che percorre come una corrente sotterranea tutto il film come la dicotomia tra la natura idilliaca e lo sconquasso emotivo vissuto dal giovane protagonista.
Il film ha una marcata origine autobiografica, il regista ha trascorso la sua infanzia sulle rive del Tagliamento e ha conosciuto davvero Giacomo, il fratellino minore di un amico, quando era un bambino sordo. Dieci anni dopo lo ha ritrovato in procinto di operarsi per sentire per la prima volta e ha deciso poi di farne una fiaba moderna con l’intento di rendere, parole sue, “la realtà il più astratta possibile così da rarefarla e farla diventare una sensazione”.
Un percorso esemplare quello di Comodin, diplomatosi in regia presso l’Institut National Supérieur des Arts du Spectacle di Bruxelles e che ha trovato il suo primo importante riconoscimento con il Pardo d’oro – Cineasti del Presente nel 2011 al Festival di Locarno per questo film, una coraggiosa co-produzione italo-franco-belga.
Un’opera riservata agli spettatori amanti di un cinema di atmosfere che cercano la delicatezza di un tocco, di un respiro, di un ricordo.

Elena Bartoni

 


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